Documento d’iniziativa comune delle associazioni della dirigenza della Repubblica

Una riforma per una PA di tutti. Per tutti

L’“Associazione Allievi Scuola Nazionale Amministrazione”, l’“Associazione classi dirigenti delle pubbliche amministrazioni” e “Nuova etica pubblica”, con questo documento esprimono la posizione comune in ordine alle linee generali della riforma delle Pubbliche Amministrazioni disegnata dal disegno di legge delega Madia (A.S. 1577/2014) che prevede massicci interventi normativi (11 decreti delegati), alcuni condivisibili nell’impostazione generale, altri che necessitano una discussione più approfondita, altri di cui si sottolinea l’ assenza.

 

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Occorre naturalmente muovere dall’impostazione generale che le nostre associazioni sono andate costruendo nel periodo più recente, concentrandosi sul nocciolo della riforma degli apparati amministrativi, centrali (Stato) e territoriali (Regioni e autonomie locali) – si vedano in tal senso i documenti di EticaPA, AGDP e AllieviSNA.

 

Il punto di partenza sono i cittadini: è urgente il superamento di qualunque logica autoreferenziale e corporativa da parte di chi opera nelle pubbliche amministrazioni, retaggio ancora duro a morire nell’etica di lavoro di alcuni apparati pubblici (anche se in molte realtà è superato da anni). Da questo punto di vista, la trasparenza assoluta ed il rendere conto alla comunità sono ormai l’architrave di ogni progetto di miglioramento dell’azione pubblica, un punto da cui non si può e non si deve indietreggiare.

Da questo punto di vista, esprimiamo preoccupazione per la possibile precarizzazione della dirigenza di ruolo e l’indebolimento dell’autonomia della figura del dirigente pubblico dalla politica, con impatti deleteri per le garanzie dei diritti dei cittadini, che devono contare su una PA imparziale e che risponda solo alla legge.

 

Le pubbliche amministrazioni non esistono per sé stesse, ma per svolgere servizi alla collettività esercitando le funzioni pubbliche, come configurate dalle politiche pubbliche stabilite dai competenti organi istituzionali attraverso leggi, atti generali, direttive. In tale ottica sosteniamo l’idea che l’amministrazione pubblica non è un costo per l’economia nazionale, improduttivo e come tale da tagliare, ma un pezzo fondamentale dello sviluppo del Paese, che fa leva sulla gestione imparziale dei diritti e dei doveri di tutti.

 

A nostro avviso, i due riferimenti cardine di una riforma delle pubbliche amministrazioni devono essere:

a) gli assetti – oggi variegati e malamente interconnessi fra loro – delle varie componenti della PA italiana (Stato, Enti pubblici, Agenzie, Regioni, Comuni);

b) l’operativitàe l’efficienza con la quale si devono “muovere” le diverse Amministrazioni Pubbliche.

Rispetto a questi, non troviamo presente nel ddl Madia una visione generale: digitalizzazione, semplificazione, regime della dirigenza, società partecipate sono tutti snodi fondamentali ma il loro buon esito è legato alla diversa configurazione degli apparati e della loro operatività.

 

Crediamo è prioritario organizzare le strutture e le attività legandole direttamente alle politiche pubbliche: gli organi di governo fissano obiettivi, tempi e modalità di attuazione degli obiettivi generali di azione politica, lasciando alla PA il compito di attuare concretamente e in modo imparziale quanto previsto. Da ciò discende la necessità immediata di ridisegnare le singole pubbliche amministrazioni sulla base delle missioni e dei programmi in cui si concretizzano funzioni e politiche pubbliche loro attribuite, stavolta semplificando davvero la macchina dello Stato.

Sul punto la legge 196/2009 sulla riforma del bilancio, è tuttora sostanzialmente inattuata. Le strutture sono rimaste quelle di prima, mentre missioni e programmi, come articolazioni del bilancio, sono state disegnate sull’ esistente. Al riguardo, l’art. 1 della legge n. 89/2014 ha previsto il rinnovo delle deleghe inattuate della legge 196, ed in particolare per la riorganizzazione dei programmi di spesa e delle missioni, che comporta la contemporanea ristrutturazione dei grandi Uffici che vi corrispondono: è necessario che a questa delega vengano raccordate le norme di delega dell’ A.S. 1577 sulla riorganizzazione delle strutture dell’amministrazione dello Stato, ora limitate all’ indicazione generica del potenziamento degli uffici di linea rispetto a quelli di supporto. La riforma amministrativa oggi è innanzitutto la ri/strutturazione degli apparati.

 

La riforma amministrativa va, in ogni caso, incardinata nella complessiva riforma istituzionale, relativa alle scelte sull’ assetto che vogliamo dare al Paese nei prossimi anni.

In questa direzione un passo importante è costituito dalla nuova ripartizione delle attribuzioni prevista dal disegno di riforma costituzionale in discussione alle Camere, ma ciò non basta: è necessario esaminare nuove modalità di rapporti fra le PA nel contesto di un sistema di multilevel governance riportando a razionalità l’attuale disarticolazione delle competenze fra i diversi livelli di governo, anche rispetto ai servizi esternalizzati a società partecipate.

Non si tratta solo di salvare i bilanci, bensì di salvare anche le funzioni e i servizi pubblici dalle inefficienze. Nel riaffermare un modello di amministrazioni differenziate che operano a rete, non si può dare per scontata la persistenza dell’attuale situazione di livelli frammentati e sovrapposti di governo e di amministrazione. Nessun progetto di riforma può essere valido senza avere sciolto questi nodi.

 

La seconda questione, strettamente connessa alla prima, è che il rinnovo delle deleghe della legge 196 riguarda anche il potenziamento della funzione del bilancio di cassa e la revisione della normativa in materia di contabilità di Stato e di tesoreria. Queste deleghe, che rischiano di rimanere inattuate come le precedenti, offrono la possibilità di superare la tradizionale separazione tra uffici che amministrano ed uffici che gestiscono la spesa: la riforma amministrativa è anche la riforma della gestione e della rendicontazione delle risorse finanziarie. Anche su questo, perciò, occorre realizzare un rapporto tra l’esercizio delle due deleghe (A.S. 1577 e legge 89).

 

La terza questione è quella della valutazione. La riforma amministrativa non può avere successo se non si connettono la valutazione delle politiche pubbliche, la valutazione delle singole amministrazioni, quella dell’operato dei singoli uffici e la valutazione dei dirigenti. Su questo punto decisivo della riforma sono presenti pochi accenni che sembrano richiamare il vigente d. lgs 150/2009 (normativa “Brunetta”), in cui sono presenti incongruenze e soluzioni inaccettabili non ancora abrogate (articolo 19 in primis). La valutazione, invece, è lo snodo decisivo per una corretta gestione del regime della dirigenza e per un collegamento stretto fra analisi della spesa pubblica e coerenza fra obiettivi di politica pubblica e strumenti, anche mediante l’elaborazione e l’uso di indicatori di risorse, di processo, di risultati specifici (output), di risultati per la società (outcome).

Siamo consapevoli che il sistema di valutazione oggi in essere va riformato profondamente e chiediamo cheal cittadino sia reso semplice analizzare chi fa cosa, con quali risorse e come siano stati portati a termine i compiti: da questo punto di vista il complesso dei piani della performance e della trasparenza sono un inizio di un percorso che deve essere proseguito e migliorato.

 

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Relativamente a tali questioni le associazioni della dirigenza della Repubblica sollecitano l’attenzione sulle seguenti proposte:

 

  1. Applicare in modo nuovo il principio di separazione della politica dall’amministrazione separando non gli organi, bensì gli enti di indirizzo dagli enti di gestione. Nell’amministrazione statale, la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri potrebbero diventare gli organismi di programmazione, allocazione delle risorse e controllo sull’attuazione delle politiche pubbliche. La gestione sarebbe invece demandata a grandi agenzie nazionali o regionali (già esistenti o frutto di fusione di strutture esistenti), modellate sullo schema di agenzie autonome, della Banca d’Italia o degli enti pubblici non economici: le scelte sono aperte. L’importante è che le strutture preposte esercitino l’attività amministrativa in maniera imparziale e trasparente, soggette alla legge nel perseguire gli obiettivi posti dagli organismi d’indirizzo politico.

Ove tale strada non fosse immediatamente percorribile, è comunque necessario operare una riscrittura delle competenze tesa a ridefinire e differenziare due tipologie di apparati: da un lato gli Uffici di diretta collaborazione, non più esclusivo monopolio delle magistrature amministrative e contabili, che assistono l’autorità politica anche con l’ impiego di esperti di settore (pure di provenienza amministrativa), su base fiduciaria; dall’ altro gli apparati amministrativi sorretti da burocrazie professionali accuratamente selezionate che traducono gli indirizzi politici in politiche e programmi di attività, vi dividono le risorse, esercitano le proprie funzioni in modo imparziale per raggiungere gli obiettivi assegnati.

 

 

b) Articolare, per tutte le Amministrazioni Pubbliche, principi e modalità di misurazione e valutazione dell’attività amministrativa autonomamente definiti a seconda dell’oggetto e la natura delle stesse.

Il sostanziale fallimento del modello centralista e verticale del decreto legs 150/2009, che vedeva la vecchia CIVIT alle prese con la missione impossibile di governare dall’altro un sistema articolato, richiede oggi:

  • la valutazione delle politiche Pubbliche;
  • la valutazione delle performance delle singole Amministrazioni;
  • la valutazione delle performance dei singoli uffici e dei loro dirigenti e impiegati;
  • la valutazione dei processi di lavoro.

Ciò comporta introdurre la valutazione parlamentare delle politiche pubbliche, prefigurata dalla riforma costituzionale in corso, come sistema articolato ma coerente, che consenta alle istituzioni competenti ed ai cittadini di conoscere e giudicare gli esiti delle politiche e la capacità di realizzazione degli apparati.

Parallelamente, in ciascuna PA, introdurre la funzione di auditing curate da soggetti pubblici indipendenti, e favorendo la partecipazione della società civile organizzata, col compito di verificare la funzionalità dei controlli ai fini del rispetto della legalità e del contrasto della corruzione, dell’efficacia e qualità dell’azione pubblica e dell’efficienza, anche riguardo agli obiettivi di risparmio di spesa.

In ogni caso, operando valutazioni qualitative oltre che quantitative, centrate sull’impatto delle norme, delle politiche, delle attività amministrative più che sul numero delle pratiche prodotte, abbandonando definitivamente l’idea ormai tramontata di una PA fordista e meccanicista.

 

  1. La legge 196 prevede un collegamento tra i documenti di bilancio ed i documenti di performance, che deve essere ancora compiutamente attuato. Perciò, nell’ AS 1577 appare necessario rafforzare questo collegamento, rendendo contestuali, per ciascun grande ufficio, la presentazione del bilancio di previsione e quella del piano di performance, e poi la presentazione del bilancio consuntivo e della relazione sulle performances realizzate. In modo che il Parlamento sia in grado di valutare insieme quello che si spende e quello che si fa.

 

  1. Riformare e rafforzare il sistema delle burocrazie professionali. Ciò significa, come in tutti i Paesi sviluppati e a prescindere dalla natura pubblicistica o privatistica del regime giuridico, basare il regime della dirigenza pubblica su corpi di funzionari assunti per concorso pubblico, con una progressione di carriera basata sul merito e sulla competenza, aventi un diritto/dovere all’ esercizio delle funzioni di istituto.

Il Ruolo unico, articolato per specifiche professionalità, può essere la sede più idonea – se ben regolato – per gestire razionalmente le risorse manageriali tra le diverse amministrazioni, secondo il principio “la persona giusta al posto giusto”. Non può costituire, tuttavia, il luogo dove scaricare un dirigente alla fine del periodo d’incarico anche in assenza di una valutazione negativa, magari per far posto a un dirigente assunto dall’ esterno. Senza una motivazione obiettiva la messa a disposizione senza incarico, con l’eventuale licenziamento dopo due anni, rappresenta una violazione del diritto/dovere all’ esercizio della funzione. Una copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale ha sanzionato norme di legge statali e regionali che affidavano alla discrezionalità politica il mantenimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, con la conseguente possibilità di premere sui dirigenti per orientarne l’attività, in spregio del principio di distinzione tra politica ed amministrazione e dei principi costituzionali di cui agli artt. 97 (imparzialità) e 98 (servizio esclusivo della Nazione). Si va a casa se si è operato male, non perché non si è graditi.

 

  1. Raccordare in contesti unici sia il regime dei concorsi che quello della formazione, salvaguardando e rafforzando natura e operatività pubblica della Scuola Nazionale d’Amministrazione, sulla scorta della positiva esperienza dell’istituto del corso-concorso per l’accesso alla dirigenza di giovani motivati e preparati. In quest’ottica prevedere un’eventuale trasformazione della naturagiuridica della Scuola Nazionale di Amministrazione, SNA, con un non meglio precisatocoinvolgimento di “istituzioni nazionali ed internazionali di riconosciuto prestigio“, affidando deleghe in bianco al Governoper la stesura dei relativi decreti delegati, non può essere la strada giusta. Né sono ipotizzabili forme di appalto a soggetti esterninon ben individuati delle attività di formazione e persino di reclutamento della dirigenza pubblica.Ciò comporta non solo un inutile aggravio di spesa pubblica ma l’espropriazione di una delle piùdelicate funzioni dello Stato.

Infine, per affermare definitivamente la cultura della riforma, occorre configurare e promuovere con adeguati “bagni” di formazione diretta a tutta la dirigenza pubblica, centrale e territoriale, un nuovo profilo di dirigente pubblico, che superi definitivamente la figura ottocentesca di dirigente rigido, formalista e autoreferenziale mettendo al centro un ruolo diverso, di presenza attiva e responsabile nella vita dei settori di riferimento (mondo delle imprese, del lavoro, dell’ assistenza etc. ). Dirigenti leader, di cui sia finalmente riconoscibile il volto, più che la firma in calce agli atti, dal loro dialogare nella viva e dinamica trama della realtà sociale. Vogliamo metterci la faccia.

AllieviSNA

AGDP

Nuova Etica Pubblica

 

Segreteria Allievi SNA
Pubblicato da:

La Segreteria dell'Associazione Dirigenti per l'innovazione – Allievi SNA è a disposizione per eventuali richieste di contatto all'indirizzo e-mail: posta@allievisspa.it.

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